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8 Marzo: la banalizzazione dell’essenza femminile

Abbiamo veramente bisogno di una data che ci rappresenti?


Si narra che nel lontano 8 Marzo 1908 a New York, 129 operaie di fede socialista   dell’industria tessile Cotton, in seguito a una contestazione sfociata in un epico sciopero dai risvolti rivoluzionari, furono vittime  di un incendio di natura dolosa provocato da un disumano padrone. Pochi anni dopo, al congresso socialista di Copenhagen, la leggendaria femminista tedesca Clara Zetkin proclamò l’8 marzo giornata internazione della donna in ricordo alle vittime sociali.
 Una nota storia toccante, argomento emblematico del femminismo di ogni tempo, capace di far riflettere ognuno di noi se non fosse per la sua natura controversa o addirittura falsa.
Pare proprio che spulciando i giornali e i documenti dell’epoca non vi è traccia di nessun incendio associato a uno sciopero di operaie, ma bensì i giornali dell’epoca registrano un incendio di natura accidentale nel 1911 in una fabbrica dove:
- le vittime non furono solo donne
- non vi fu in corso nessuno sciopero
- non c’entra niente la data dell’8 marzo.
Secondo tale tesi ci ritroviamo quindi a festeggiare una evento ridicolo e anacronistico grazie a un falso storico  elaborato  dalla stampa comunista ? Il tutto per mettere in evidenza lo sfruttamento capitalista?
Oggi avallare tale argomentazione significherebbe ergersi l’etichetta di maschilisti/anticomunisti, contrastarla darebbe esatto effetto contrario.
Ma al di là della veridicità di tale evento quale il senso di una festa, che magari ai suoi biancori aveva una sua ragione di essere, dove in luogo di una quantomeno sensata commemorazione è diventata motivo di svago per insipide frustrate. 
Sì, perché non è fuori luogo parlare  di imbecillità  di una parte del  popolo femminile quando i locali vengono tempestati di inutili iniziative  a dir poco “elettrizzanti” che sfociano spesso in ridicoli spettacolini con tanto di strip da parte di maschietti dal corpo unto.
Si dovrebbero esaltare le doti femminili, l’intelligenza, l’indipendenza, l’orgoglio femminile e invece avviene esattamente  l’opposto.
  Ma grazie a Dio esistono anche lodevoli iniziative da parte di vari enti e associazioni, dove le donne  si ergono assolute protagoniste nel  manifestare le proprie capacità creative e non.
Il senso dell’otto marzo: restituire la dignità perduta.
Ma non trovate paradossalmente discriminante utilizzare una (sola?) data per doverlo dimostrare?
Il fatto stesso che la donna per raggiungere le effettive pari opportunità e per svincolarsi da certe condizioni abbia  bisogno di un’unica data per proporre iniziative e problemi non è forse già una discriminazione?
E se le iniziative vengono sistematicamente proposte perché servirsi di questa data?
Ha ancora senso per il mondo occidentale “festeggiare la donna”?
Gli estremisti parlerebbero di un evento addirittura umiliante dove si tende a relegare la donna come qualcosa di “diverso” e quindi non facente parte della comune organizzazione sociale, un rifiutare o non volere riconoscere tutte le trasformazioni avvenute a livello sociale e individuale.
Opinioni contrastanti, quindi, fra i detrattori dell’8 marzo, che ritengono inutile festeggiare qualcosa di risolto che procede verso luminosi traguardi, (ottimismo?) e chi sostiene invece la possibilità di festeggiare chi un tempo era oppresso.
Ma c’è anche chi lo utilizza come un mezzo per trarne profitto, occasione ancora una volta per cedere a un consumismo sfrenato sotto il simbolo di un tripudio di mimose gialle.